Le origini
La mozzarella è un formaggio fresco, prodotto con latte di bufala.
Essa deve il suo nome all'operazione che effettua il casaro quando, mozzando i singoli pezzi dal lungo nastro di pasta filata, forma appunto le mozzarelle.
Storicamente parlando, l'origine di questo tipo di latticino si perde nella notte dei tempi.
Già Plinio il Vecchio in epoca romana nella sua Naturalis Historia esaltava il "laudatissimum caseum" del Campo Cedicio, oggi identificabile con la Piana dei Mazzoni che si estende fra Mondragone, Castel Volturno ed altre zone del Volturno: i bufali si diffusero con sorprendente facilità andando a sfruttare al meglio quei pascoli altrimenti improduttivi per la periodica e spesso totale invadenza delle acque del fiume; nel XVI secolo la fascia compresa fra l'Appia e il mare, dal Massiccio del Massico a Villa Literno venne popolandosi di centri di allevamento, le cosiddette "pagliare o procoi " ed assunse il nome caratteristico di "Mazzone delle Rose "la stessa già da Carlo d'Angiò denominata "maison de roses".
Tale zona dà vita ai nostri giorni a fiorenti allevamenti di bufali e produzione di ottimi latticini di bufala.
È ovvio che al tempo del naturalista romano si trattava di prodotti vaccini! Solo successivamente, con la caduta dell'impero romano sarebbe venuta meno tutta la rete organizzativa in ogni settore e con essa anche la manutenzione dell'alveo dei fiumi.
L'impaludamento di vaste plaghe di pianure ne fu l'immediata conseguenza e così come la Piana dei Mazzoni, anche la Piana del Sele divenne l'habitat più idoneo ad ospitare l'allevamento del Bubalus bubalis, meglio noto come bufalo, un bovino dotato di ampi zoccoli che gli impediscono di affondare nel fango, di indole molto pacifica, massiccio di corporatura, scuro di colore e di pelo corto, uso a vivere in terreni paludosi, nei cui fanghi si rotola per rinfrescarsi la pelle carente di ghiandole sudoripare, per difendere la stessa dalla eccessiva calura dei raggi solari e per ristabilire in definitiva il proprio equilibrio termico.
Questo animale nell'alimentazione è molto parco, deve solo essere messo in condizione di scegliersi l'erba su vasti terreni tra acquitrini e paludi ove mangia ogni vegetale che trova e che anzi, acclimatandosi in queste paludi come nel luogo più ideale, permise allora e permette ora di trarre notevoli profitti economici là dove ogni altro bestiame soffriva né c'erano ulteriori alternative agricole valide; non è un caso dunque che le carte più antiche ne attestino la presenza in quelle località ove erano disponibili enormi quantitativi di acqua: oltre alle sopra menzionate foci del Garigliano, del Volturno e del Sele, questo tipo di bovini erano stanziati altresì nelle zone meridionali della Pianura Pontina del Lazio ed infine sulle rive dei laghi di Lesina e di Varano in Puglia.
Sul come i bufali siano pervenuti da noi è ormai una molto "vexata quaestio": secondo varie ipotesi, ci sarebbe stata una precisa linea di discendenza dei nostri esemplari da quelli asiatici, con i quali hanno in comune anche una notevole somiglianza fisica; lo spostamento ci sarebbe stato al tempo delle migrazioni preistoriche ed i bufali avrebbero trovato facile adattamento in zone dal clima temperato e con abbondanza di acqua.
Alessandro Magno li notò già in Persia, e solo successivamente, forse anche al seguito dell'espansione islamica, furono portati prima in Siria e poi in Egitto sul Delta del Nilo.
Recenti studi condotti comparativamente sul DNA di elementi europei ed indiani hanno tuttavia escluso tale diretta parentela sostenendo invece che si tratterebbe di un ceppo bovino autoctono, discendente diretto dei bufali diffusi nel quaternario in tutto il Mediterraneo, dal Danubio al Delta del Nilo.
Oggi, in base ai dati del Censimento del 1995 nell'area delimitata dal Disciplinare che regola la produzione della mozzarella di bufala campana, vivono 160.000 capi, veramente pochi se rapportati ai 92 milioni dell'India ed ai 22 milioni del Pakistan, ove il clima caldo – umido è ideale per il loro allevamento.
Un dato resta incontestabile: la bufala allevata in Italia rappresenta l'evoluzione della specie inscindibile dal suo prodotto; dalla sua comparsa nelle nostre plaghe inoltre essa non ha subito influenze da parte di altri genotipi e pertanto si pone come un raro esempio di "purezza di razza" per cui a buon diritto si può definirla con la denominazione di "Bufala Mediterranea Italiana".
Non si sa bene da chi i bufali furono introdotti in Italia: secondo alcuni dai Longobardi fra il VI e il X secolo; secondo altri dagli Arabi insediatisi prima in Sicilia e poi in una loro roccaforte, un vero e proprio Ribat, creato alla foce del Garigliano da dove essi partivano in frequenti scorrerie in Italia Centrale e Meridionale, dal Granducato di Spoleto a tutta la Puglia.
Il mestiere della lavorazione del latte bufalino
Fu soltanto agli inizi del 900 d.C. che i Cristiani, organizzatisi in una alleanza fra i Longobardi, la Chiesa ed i Bizantini annullarono la minaccia musulmana liberando gli schiavi cristiani, molti dei quali, e specialmente i religiosi, avevano imparato a lavorare il latte bufalino.
Furono proprio questi ultimi probabilmente a trasmettere ai confratelli religiosi ed ai cristiani in genere il mestiere della lavorazione dei latticini prodotti con latte di bufala.
Il discorso diventa più concreto e quindi più comprensibile se si tiene conto delle condizioni geografiche di allora, quando varie pianure erano impaludite e solo a distanza, in collina sorgevano monasteri e centri abitati per potersi difendere dalla malaria e dalle incursioni dei barbari prima e saracene dopo: ecco quindi la necessità di lavorare in loco, cioè nella Piana, il latte bufalino, per sobbarcarsi al trasporto dei soli latticini che si erano prodotti e non di tutto il latte munto, peraltro soggetto ad acidificarsi facilmente.
I casari pertanto lavoravano il latte subito dopo la mungitura producendo quel formaggio fresco a pasta filata che allora, date le peculiari caratteristiche di freschezza, era considerato un prodotto poco diffuso, di ripiego, poco richiesto, poco remunerativo ed indirizzato, fino alla metà dell'800 ad una ristretta utenza costituita soprattutto dalle famiglie dei produttori medesimi e che solo successivamente si sarebbe indirizzato ad un pubblico egualmente ristretto, ma composto da raffinati degustatori.
Si trattava dunque di un prodotto non finalizzato alle grandi masse di consumatori, alle quali peraltro era sconosciuto o quasi: una testimonianza certa è nell'iconografia del Presepe Napoletano del 700, nel quale era rappresentata la provola affumicata e non la mozzarella, che della provola rappresenta solo uno stadio di lavorazione.
In realtà il prodotto principe del latte bufalino erano allora le provole, di cui era consuetudine affumicare la crosta per salvaguardarla dal deterioramento.
Ad inventare dunque la mozzarella per come essa si presenta oggi furono i monaci dei vari conventi circostanti le Piane, secondo un'altra scuola di pensiero furono invece i Normanni nella città-contea di Aversa, sede ancora oggi di numerosi caseifici ove si produce la rinomata mozzarella Aversana.
Documenti custoditi nell'Archivio Episcopale di Capua attestano già risalente al XII secolo la lavorazione dei prodotti derivati da latte di bufala: casicaballus, butyrus, recocta, provaturo; al XV secolo invece risale il primo documento attestante la lavorazione della Mozzarella Aversana.
La produzione di mozzarella di bufala, realizzata a livelli importanti, tali da poter cominciare a coinvolgere il mercato partenopeo, muove le prime mosse nel 700 ad opera dei reali di Napoli, i Borbone, i quali, a cominciare dal sovrano illuminato Carlo III e continuando, con la partecipazione diretta e personale dei suoi successori, Ferdinando IV poi divenuto Ferdinando I delle due Sicilie, Francesco I, Ferdinando II, ultimi sovrani di Napoli nel contesto della riorganizzazione territoriale finalizzata alla ripresa economica, che era il cardine della loro politica, fra i vari altri "Siti Reali" come ad esempio il "Sito di San Leucio" famoso per l'allevamento del baco e quindi per i setifici, crearono nella tenuta reale di Carditello, a mezza strada fra Napoli e Caserta, il "Sito" della Reale Industria della Pagliara delle Bufale, per rinnovare l'agricoltura creando nel contempo un importante allevamento di bufali, mucche e cavalli, ove fu insediato anche un importante caseificio.
In seguito alla realizzazione di tale impianto mozzarella e carne bufaline iniziarono ad essere sempre più presenti sui mercati di Napoli arricchendo di molto la dieta alimentare della popolazione.
Nella Piana del Sele Battipaglia come città non esisteva ancora: sorgevano solo agglomerati di case sparse lungo la strada percorsa dai re di Napoli che con tutto l'entourage si recavano alla tenuta di Persano; era l'alba delle innovatrici idee illuministiche e quindi anche dell'inizio dei viaggi culturali e quella stessa strada era percorsa anche da signori europei, culturalizzati, raffinati quanto denarosi, desiderosi di prendere contatto a Paestum con le vestigia della Grecia classica.
Ad essi massari e casari, spesso affetti da malaria, offrivano quell'autentica leccornia che come tale veniva gustata e gradita: la provatura del formaggio di bufala.
Tale appunto era l'antico nome della mozzarella poiché questo strano formaggio, in una produzione non ancora organizzata, in realtà era usato allora come prova per verificare il grado di salatura del futuro formaggio: il latte di bufala, denso, grasso e pieno di sapore, gli conferiva per di più quel particolare, caratteristico gusto che a tutt'oggi entusiasma chi l'assaggia; la pasta fresca, filante veniva mozzata a mano e da questa operazione è derivato il nome di mozzarella.
Il latte
Il segreto è tutto nel latte, ricchissimo di microflora ed in particolare di alcuni ceppi di lactobacilli, quasi assenti nel latte vaccino; il grasso del latte bufalino inoltre, nonché la parte maggiore delle proteine, sono in una percentuale più che doppia rispetto a quello di mucca: in media il 7.5% a fronte del 3.3% del vaccino, ma si sono registrate anche punte anche punte superiori all'8.5%; i requisiti minimi comunque che il latte deve possedere sono al 7,2% di grasso minimo, il 4,2% di proteine minime.
E tanto premesso pertanto, è bene esplicitare che la resa del formaggio bufalino è di 24 Kg. per 1 quintale, che scende a 13 Kg. per 1 quintale di latte vaccino: una bella differenza!
Ed ecco, prima di procedere nel discorso, una tabella comparativa illustrante le caratteristiche dei due tipi di latte presi a campione di g. 100:
Latte di Vacca intero | Latte di bufala | |
Parte edibile % | 100 | 100 |
Acqua g | 87.6 | 81.2 |
Proteine g | 3.3 | 4.5 |
Lipidi g | 3.6 | 8.5 |
Carboidrati g | 4.7 | 5.1 |
Amido g | 0 | 0 |
Zuccheri solubili g | 4.7 | 5.1 |
Fibra totale g | 0 | 0 |
Ene kcal | 63 | 114 |
Fonte: INRAN
Parlando dunque di latte, ci corre l'obbligo di dare un panoramico sguardo alla normativa che regola innanzitutto tipo e la qualità della materia prima per poi andare ad analizzare la lavorazione della mozzarella nelle sue varie fasi, chiarendo bene che stiamo parlando di "mozzarella di bufala".
Tale denominazione è stata riconosciuta nel 1993 a livello nazionale con l'istituzione del marchio D.O.C.
Denominazione di Origine Controllata, e nel 1996 si ebbe un ulteriore riconoscimento, questa volta di livello europeo, il marchio D.O.P., Denominazione di Origine Protetta, che assicura i consumatori e specifica l'area geografica in cui essa viene prodotta.
La produzione utilizza esclusivamente latte di bufala intero, cioè portato in caseificio a non oltre 16 ore dalla mungitura da bufale iscritte ad apposita anagrafe, come recita il Disciplinare di Produzione.
Per completezza di discorso è doveroso chiarire che il Decreto 21 Luglio 1998 emanato dal Ministero dell'Agricoltura vieta l'utilizzo della locuzione "mozzarella di bufala" pur senza aggiunta della precisazione "campana" per formaggi a pasta filata, anche se gli stessi siano derivati dal solo latte di bufala, ma che non siano compresi nel disciplinare DOP: per tali è consentito indicare, anche in campo visivo, esclusivamente la denominazione di vendita "mozzarella " unitamente alla specificazione "di latte di bufala " solo se i termini mozzarella e latte di bufala vengano riportati in caratteri grafici di ugual dimensione e che tra la parola "mozzarella " e la successiva specificazione " di bufala" ci sia scritta l'indicazione di un nome di fantasia oppure del nome, o della ragione sociale, o del marchio depositato del produttore: quanto detto rimane valido anche se il prodotto è realizzato con solo latte di bufala intero, senza aggiunta di latte di altri animali, pur se il latte provenga da comuni di cui al DPCM 10/05/1993.
Fra mozzarella di bufala e mozzarella da latte di bufala nella normativa vigente si evidenzia pertanto una differenza talmente netta da prefigurarsi come reato di frode commerciale il presentare come mozzarella di bufala campana D.O.P. una mozzarella prodotta, pur se solo in parte, col latte di bufala surgelato anziché fresco, essendo obbligatorio, in base all'art.3 del già citato Disciplinare di Produzione approvato con D.P.C.M. del 1993, l'uso di latte da afferirsi al caseificio entro la sedicesima ora dalla mungitura.
Il processo di lavorazione
La mozzarella dunque è un formaggio a pasta filata, la cui lavorazione si articola su quattro momenti fondamentali
- Il primo momento è l'acidificazione del latte: si lascia acidificare il siero a temperatura ambientale per poi aggiungere caglio di vitello e si attende la coagulazione del composto per una trentina di minuti alla temperatura di circa 34°- 36°; il casaro infine rompe la cagliata fino ad ottenere granuli grandi quanto una noce.
- Il secondo momento è costituito dalla maturazione: i granuli sono lasciati sotto siero per il tempo da stabilire a giudizio del casaro, successivamente il prodotto è tagliato a fette sottili e messo a spurgare e maturare per ulteriori 30 minuti circa.
- A questo punto c'è la filatura, che è anche il momento più delicato della lavorazione. Le fette vengono poste in un recipiente di legno e lasciate fondere aggiungendo acqua bollente. La pasta fusa è sollevata e tirata fino ad ottenere un impasto omogeneo e lucido, di un particolare bianco lucente, dalla consistenza filiforme che casaro poi lavora in varie forme: nelle tipiche forme tonde in pezzature varie che vanno dalle ciliegine agli 80 -100 grammi del bocconcino, alla treccia, molto diffusa nella Piana del Volturno nonché nell'Agro Aversano. In commercio esistono poi mozzarelle di grande pezzatura dette mozzarellone aversane, come riporta anche la denominazione data dal CNR. Interessante è infine la versione della mozzarella affumicata, da non confondersi assolutamente con la provola affumicata, che è tutt'altra cosa. Realizzata la forma e la dimensione voluta, i prodotti vengono immersi in acqua fredda per pochi minuti, prima di essere trasferiti nelle vasche per la salatura.
- Prima di essere confezionata la mozzarella viene immersa per la conservazione nel cosiddetto "liquido di governo", composto da acqua di filatura, sale e siero acido diluito, nel quale in ambiente fresco si mantiene per due o tre giorni; aroma e gusto sono effimeri poiché degradano rapidamente non appena la mozzarella supera la curva ottimale di maturazione, ma consumare questa mozzarella ancora tiepida di filatura è un'esperienza indimenticabile. Casari e buongustai la definiscono sublime, mistica. Il frigorifero è nemico di questo prodotto in quanto ne blocca il processo di maturazione.