Il mestiere della lavorazione del latte bufalino
Fu soltanto agli inizi del 900 d.C. che i Cristiani, organizzatisi in una alleanza fra i Longobardi, la Chiesa ed i Bizantini annullarono la minaccia musulmana liberando gli schiavi cristiani, molti dei quali, e specialmente i religiosi, avevano imparato a lavorare il latte bufalino.
Furono proprio questi ultimi probabilmente a trasmettere ai confratelli religiosi ed ai cristiani in genere il mestiere della lavorazione dei latticini prodotti con latte di bufala.
Il discorso diventa più concreto e quindi più comprensibile se si tiene conto delle condizioni geografiche di allora, quando varie pianure erano impaludite e solo a distanza, in collina sorgevano monasteri e centri abitati per potersi difendere dalla malaria e dalle incursioni dei barbari prima e saracene dopo: ecco quindi la necessità di lavorare in loco, cioè nella Piana, il latte bufalino, per sobbarcarsi al trasporto dei soli latticini che si erano prodotti e non di tutto il latte munto, peraltro soggetto ad acidificarsi facilmente.
I casari pertanto lavoravano il latte subito dopo la mungitura producendo quel formaggio fresco a pasta filata che allora, date le peculiari caratteristiche di freschezza, era considerato un prodotto poco diffuso, di ripiego, poco richiesto, poco remunerativo ed indirizzato, fino alla metà dell'800 ad una ristretta utenza costituita soprattutto dalle famiglie dei produttori medesimi e che solo successivamente si sarebbe indirizzato ad un pubblico egualmente ristretto, ma composto da raffinati degustatori.
Si trattava dunque di un prodotto non finalizzato alle grandi masse di consumatori, alle quali peraltro era sconosciuto o quasi: una testimonianza certa è nell'iconografia del Presepe Napoletano del 700, nel quale era rappresentata la provola affumicata e non la mozzarella, che della provola rappresenta solo uno stadio di lavorazione.
In realtà il prodotto principe del latte bufalino erano allora le provole, di cui era consuetudine affumicare la crosta per salvaguardarla dal deterioramento.
Ad inventare dunque la mozzarella per come essa si presenta oggi furono i monaci dei vari conventi circostanti le Piane, secondo un'altra scuola di pensiero furono invece i Normanni nella città-contea di Aversa, sede ancora oggi di numerosi caseifici ove si produce la rinomata mozzarella Aversana.
Documenti custoditi nell'Archivio Episcopale di Capua attestano già risalente al XII secolo la lavorazione dei prodotti derivati da latte di bufala: casicaballus, butyrus, recocta, provaturo; al XV secolo invece risale il primo documento attestante la lavorazione della Mozzarella Aversana.
La produzione di mozzarella di bufala, realizzata a livelli importanti, tali da poter cominciare a coinvolgere il mercato partenopeo, muove le prime mosse nel 700 ad opera dei reali di Napoli, i Borbone, i quali, a cominciare dal sovrano illuminato Carlo III e continuando, con la partecipazione diretta e personale dei suoi successori, Ferdinando IV poi divenuto Ferdinando I delle due Sicilie, Francesco I, Ferdinando II, ultimi sovrani di Napoli nel contesto della riorganizzazione territoriale finalizzata alla ripresa economica, che era il cardine della loro politica, fra i vari altri "Siti Reali" come ad esempio il "Sito di San Leucio" famoso per l'allevamento del baco e quindi per i setifici, crearono nella tenuta reale di Carditello, a mezza strada fra Napoli e Caserta, il "Sito" della Reale Industria della Pagliara delle Bufale, per rinnovare l'agricoltura creando nel contempo un importante allevamento di bufali, mucche e cavalli, ove fu insediato anche un importante caseificio.
In seguito alla realizzazione di tale impianto mozzarella e carne bufaline iniziarono ad essere sempre più presenti sui mercati di Napoli arricchendo di molto la dieta alimentare della popolazione.
Nella Piana del Sele Battipaglia come città non esisteva ancora: sorgevano solo agglomerati di case sparse lungo la strada percorsa dai re di Napoli che con tutto l'entourage si recavano alla tenuta di Persano; era l'alba delle innovatrici idee illuministiche e quindi anche dell'inizio dei viaggi culturali e quella stessa strada era percorsa anche da signori europei, culturalizzati, raffinati quanto denarosi, desiderosi di prendere contatto a Paestum con le vestigia della Grecia classica.
Ad essi massari e casari, spesso affetti da malaria, offrivano quell'autentica leccornia che come tale veniva gustata e gradita: la provatura del formaggio di bufala.
Tale appunto era l'antico nome della mozzarella poiché questo strano formaggio, in una produzione non ancora organizzata, in realtà era usato allora come prova per verificare il grado di salatura del futuro formaggio: il latte di bufala, denso, grasso e pieno di sapore, gli conferiva per di più quel particolare, caratteristico gusto che a tutt'oggi entusiasma chi l'assaggia; la pasta fresca, filante veniva mozzata a mano e da questa operazione è derivato il nome di mozzarella.